La psicoanalisi della consapevolezza

La psicoanalisi della consapevolezza

Questo libro raccoglie alcuni lavori sul controtransfert che, riuniti in modo abbastanza organico, sono stati da me inviati ad alcuni tra gli psicoanalisti americani ed europei da me più stimati. Ne è seguito un dialogo internazionale che viene qui integralmente pubblicato insieme alla mia sintesi finale del dibattito. A questa prima parte seguono i lavori sul doppio, dove, insieme a Loretta Zorzi ho integrato parzialmente il punto di vista di René Girard, che rappresenta una delle più violente critiche inferte negli ultimi vent’anni alla scienza fondata da Freud, con la prospettiva della persona, risolutrice, a mio modo di vedere, e dell’impasse psicoanalitico che ha assunto di recente, anche tra gli psicoanalisti, il nome di crisi della psicoanalisi, e delle critiche di Girard.
    Mi ero già occupato di questo autore anni fa, apprezzando e simultaneamente criticando il suo libro – Violenza e sacro – nel mio lavoro – Violenza e Sacro, Lucifero e Dio, uomo e persona -. Girard sosteneva allora l’indifferenziazione della vittima sacrificale, quale individuo qualsiasi, capro espiatorio, su cui infieriva e si scatenava la violenza collettiva. Il furore omicida era considerato da Girard, con lucida coerenza, come una forma di abreazione, il cui esito era l’idealizzazione della vittima e la pacificazione della comunità.
    Non si può non essere d’accordo con la spiegazione dell’autore francese. Tuttavia, in quel lavoro sostenevo che la vittima non potesse essere un individuo qualunque, scelto a caso come pensava Girard, sibbene uno dotato di alcune caratteristiche: diversità rispetto alla norma e volontà di potenza. Nei libri successivi al suo ormai famoso – Violenza e sacro – Girard ha modificato il suo punto di vista ed è giunto alla conclusione opposta, simile a quella da me prospettata: la vittima è prescelta, perché riconosciuta dalla collettività, come portatrice di caratteristiche aliene e di segni speciali, assimilabili al malocchio, tali, comunque, da attirare su di sé la violenza della comunità e del gruppo.
    Dopo un’attenta e intensa lettura dei suoi libri più recenti, mi sono convinto che la violenza collettiva non è quasi mai un fenomeno spontaneo, come crede Girard, ma che le folle vengono sobillate e aizzate, apertamente o subdolamente, grossolanamente o sottilmente, con più o meno lenta preparazione, da che mondo è mondo, fin dall’epoca – Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo -, dai potenti della terra, da coloro che detengono il potere e da coloro che lo vogliono appropriare. Tutti costoro giustificano qualsivoglia delitto per il dominio, e hanno «sfornato» e continuano a «sfornare» vittime sacrificali. Cultura e civiltà, idealizzazioni ed eufemismi a parte, e qui sono d’accordo con Girard, sono state e continuano ad essere costruite sulle immense cataste di ossa, appartenenti ai capri espiatori della storia. Negli anni la speculazione di Girard ha finito per darmi ragione sulla specificità delle vittime; mi auguro possa fare altrettanto, in anni a venire, per quanto attiene alla specificità degli aguzzini.
    Da un altro punto di vista, proprio come il mio sguardo si è spostato dalla specificità delle vittime sacrificali a quella dei carnefici, proprio così, stranamente, ma coerentemente, seguendo le leggi di sviluppo del preconscio, che volentieri seguo, questo sguardo si è focalizzato negli ultimi anni sul controtransfert più di quanto facessi nel passato, senza per altro abbandonare la visuale privilegiata sul paziente. D’altra parte, non indugio, come sembra essere la tendenza di moda fra gli psicoanalisti nell’autoanalisi ossessiva e nel rito del mea culpa. Anzi la ricerca sul controtransfert ha purificato il mio sguardo e sono, ora, più attento al paziente di quanto lo fossi in tempi remoti.
    La soluzione di questa correlazione tra il fenomeno del doppio e quello del controtransfert, tra la relazione vittima-carnefice e quella paziente-analista, dove è inteso che la vittima potrebbe essere anche l’analista, questa soluzione è un quiz che io pongo al lettore in questa breve prefazione, quiz che credo troverà, comunque, soddisfacente soluzione nello sviluppo del libro.
    La parte finale del libro è composta da un breve lavoro su Kant, e precisamente sull’etica kantiana che ho connesso con la teoria psicoanalitica strutturale della mente, regolata e, in verità, dominata dal superio freudiano, che potrei definire – la malattia della spiritualizzazione -, di cui a mio modo di vedere soffrivano tanto Kant quanto Freud. La patogenesi di questa malattia risale addirittura allo split metafisico-platonico fra anima e corpo, fra spirito e materia. Negli ultimi anni della sua vita Freud era giunto a considerare la spiritualizzazione, come una caratteristica specifica degli Ebrei. Egli ha però dimenticato di prendere in esame l’influsso della filosofia greca, platonica e neoplatonica, sulla cultura ebraica. Ho, in ogni caso, cercato di mostrare nel capitolo su Kant come la spiritualizzazione estremizzata conduca all’assassinio dell’amore.
    Segue poi il lavoro su Hegel della cui filosofia ho rivendicato soprattutto la spinta verso l’avvenire, liberatoria dall’attrazione verso le chimere del passato, quali si ritrovano perfino in filosofi, da me così apprezzati, come Nietzsche e Heidegger. Ho criticato, invece, in Hegel l’estremizzazione della dialettica che conduce al moto perpetuo e, da ultimo, alla concezione dell’universale come essenzialmente negativo. Questa estremizzazione ha raggiunto il suo punto di massimo pericolo, anzi di distruttività, nella cosiddetta Scuola di Francoforte, specificamente in Adorno, con la sua – Dialettica negativa -.
    Vi è, infine, il lavoro – Amore genital-personale -, che considero la sintesi di tutto il libro. In esso è delineata, a rapidi e ampi tratti, la storia essenziale della filosofia e la sua connessione genetica con la psicoanalisi, di cui l’amore genital-personale fra due persone rappresenta il momento culminante, come vetta e conclusione della storia universale.
    Dopo aver terminato l’ultimo lavoro, mi sono reso conto di due fatti per me di elevato significato. Mi è sembrato che l’essenza del libro consista in una critica implicita, ma perdurante e coerente, della metafisica, proprio di quella essenza metafisica che Heidegger pensa quasi ineliminabile, in quanto identificata con la filosofia che domina la cultura occidentale da ben oltre duemila anni.
La metafisica è la scissione che in tutte le religioni e in tutte le filosofie si ripresenta quasi irriducibile, comunque questa scissione si manifesti, ad esempio, fra Essere ed Esserci, universale e individuale, eternità e storicità, Dio e uomo, spirito e materia, infinito e finito. Può essere che qualche lettore, particolarmente perspicace, riesca a evidenziare l’esistenza di questa scissione anche nel mio libro e, quindi, nel mio pensiero. Mi auguro, tuttavia, che al mio tentativo di eliminare questo split esiziale faccia seguito una più compiuta consapevolezza da parte del mondo della cultura.