Gli Argonauti N° 21 – Giugno 2011

Gli Argonauti N° 21 – Giugno 2011

giugno 2010- ESP e Psicoanalisi

di Silvia Corbella e Maurizio Salis

Se le (ri-)conosci le utilizzi e se le sai utilizzare diventano preziose.

Questa sembra poter essere considerata l’ipotesi conclusiva al termine della lettura di questo Quaderno. I diversi autori si interrogano in modo complesso e articolato sull’utilizzo all’interno del lavoro psicoanalitico individuale e di gruppo delle E.S.P. (Extra Sensory Perception), “quei fenomeni riconducibili a percezioni diverse da quelle note, di senso e che sembrano condurre all’acquisizione di informazioni per via anomala o sconosciuta”.

Fenomeni che si radicano a livello arcaico, sia filogeneticamente che ontogeneticamente, e che sembrano riattivarsi in momenti particolarmente significativi per l’individuo e per il gruppo. Fenomeni capaci di attivare inconsapevolmente possibilità comunicative implicanti momenti di profonda fusionalità che prendono vie anomale e arcaiche per trasmettere non solo affetti, ma anche pensieri e vere e proprie informazioni.

Gli autori raccontano attraverso vasti riferimenti bibliografici, esperienze cliniche e anche generosi riferimenti personali, il loro incontro con questi particolari fenomeni e la loro capacità di utilizzarli in modo costruttivo anche all’interno della relazione analitica.

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Emilio Servadio, in riunioni scientifiche dell’Istituto Romano di Psicoanalisi in cui sono stati presentati e discussi lavori riguardanti manifestazioni esp nella pratica analitica, sottolineò (1980) i “recenti” sviluppi della psicoanalisi in merito al “coinvolgimento” dell’analista nel rapporto analitico, e l’importanza e utilità del controtransfert, ponendo questa domanda: “E se l’analista riconosce in genere tale coinvolgimento, perché non dovrebbe accettarlo quando implica una sua partecipazione a processi extrasensoriali?”.

Questo Quaderno sul rapporto tra esp e psicoanalisi nasce con l’intento di riproporre questa domanda, sviluppando il tema attorno a diversi lavori che fanno separatamente emergere alcune ipotesi e interrogativi condivisi, non per dare risposte saturanti, ma per rilanciare la proposta di Servadio all’interno di un dibattito che – quasi seguendo le originarie “disposizioni oscillanti” freudiane e junghiane – ciclicamente si rinnova d’interesse, e per riflettere insieme sulle percezioni extrasensoriali (esp). Fenomeni riconducibili a percezioni diverse da quelle note di senso (Gaddini, 1965) e che sembrano condurre all’acquisizione di informazioni per via anomala o sconosciuta (Papa, 2006), con particolare attenzione alle esperienze di telepatia.

Ci sembra già significativa la grande variabilità nell’uso dell’acronimo esp e il fatto che non esiste una regola o una versione più usata rispetto a un’altra. Nella letteratura si evidenza che ogni autore scrive esp con varie modalità: Esp – esp – ESP – esp…, se non pes (nella versione italiana di percezioni extra sensoriali) o E.S.P. come fa, a volte ma non sempre, Servadio (diversità che si notano già guardando la ricca bibliografia del lavoro di Ferruzza, Lai e Salis). I lavori presenti in questo Quaderno propongono la stessa varietà d’uso. Ci siamo inizialmente chiesti se proporre agli autori di uniformare l’acronimo nei vari lavori, ma abbiamo ritenuto di non farlo, poiché alcuni scritti rischiavano, in questo modo, di perdere aspetti significativamente importanti e questa stessa particolarità evidenziava la complessità del tema in discussione.

Nel suo scritto Corbella sembra fra le righe evidenziare come sia adeguata l’osservazione di Ehrenwald (1978), che risuona anche nell’interrogativo di Servadio, quando sostiene che occorre anche un interesse dell’analista non solo e non tanto perché emergano i fenomeni esp, ma perché vengano riconosciuti nelle loro potenzialità comunicative.

L’autrice, attraverso esempi clinici tratti dal suo lavoro come psicoanalista individuale e di gruppo, sottolinea come proprio la sua specifica modalità di affrontare questi fenomeni le abbia permesso di assumersi la responsabilità di comprendere e far comprendere ai pazienti il significato anche evolutivo del loro riattualizzare arcaiche capacità all’interno di differenti momenti del lavoro psicoanalitico. In particolare Corbella sostiene, in sintonia con Lopez, come questi fenomeni alberghino nell’area preconscia, ricordando come il preconscio sia attivato in modo particolare nel piccolo gruppo terapeutico.

Il lavoro di Ferruzza, Lai e Salis rappresenta il punto nodale di questo Quaderno, che è stato concepito proprio a partire da una lettura degli autori alla serata de gli argonauti del 21 aprile 2009, attivando interesse e stimoli a continuare e approfondire ulteriormente la riflessione e dando l’avvio alla “costruzione” di questo Quaderno.

Nello scritto si ricorda che “solo da pochi decenni si è iniziato a osservare e studiare le esp con un approccio ‘scientifico’ […] anche se lo stesso Freud (1921; 1922; 1925; 1932) se ne interessò e successivamente, fino ai nostri tempi, numerosi studiosi hanno approfondito e ampliato le sue considerazioni”.

In questi lavori è già presente l’ipotesi di fondo condivisa da quasi tutti gli autori di questo Quaderno che la telepatia possa essere la matrice embriologica della comunicazione, destinata a essere successivamente soppiantata dal linguaggio, e che possa anche essere intesa come una caratteristica dell’ontogenesi della specie, un meccanismo di pensiero pre-logico e pre-verbale. Viene qui ricordato che secondo Calvesi (1980), il materiale esp prodotto durante il trattamento psicoanalitico deriva dalle reciproche possibilità del paziente e dell’analista di regredire fino a ri-sperimentare un’esperienza relazionale strutturante del sé. Le esp in analisi possono essere interpretate, quindi, come vicende che pescano nelle più antiche comunicazioni pre- ed extraverbali (Nissim Momigliano, 1989). L’inconscio sembra possedere alcune potenzialità sconosciute e qualità che sono state perdute nel corso dell’evoluzione filogenetica (Freud, 1932), che possono riattivarsi all’occorrenza, ad esempio quando diviene difficile per un qualsiasi motivo utilizzare una comunicazione usuale, quindi mettere in parole determinati pensieri. Anche in questo scritto, che presenta una corposa revisione della letteratura sul tema, si evidenzia l’efficacia terapeutica del poter riattraversare anche i livelli della prima formazione del sé, purché vi sia la reale disponibilità e il coinvolgimento diretto dell’analista a entrare in contatto con il paziente anche a questi livelli molto profondi, come ben si evidenzia dagli esempi clinici molto chiaramente narrati da Maurizio Salis.

Lungo i margini del lavoro di questi autori, Fasolo e Ambrosiano hanno dialogato con Corbella, Ferruzza, Lai e Salis a partire dallo stimolo delle ipotesi e domande intorno al rapporto Esp/psicoanalisi.

Con commozione riferiamo del lavoro dell’amico Franco Fasolo che, già malato, con affetto e generosità accettò di scrivere proprio per questo Quaderno quello che forse sentiva sarebbe stato uno dei suoi ultimi lavori. Dono prezioso in cui l’autore è presente con lo stile di sempre caratterizzato dalla capacità di coniugare profonda leggerezza e riso, capacità che si evidenzia già dal titolo: “Espatia: oltre l’empatia?”. La splendida ed evocativa invenzione dell’espatia da un lato ci porta subito in risonanza nei territori dell’empatia, da un altro lato, immaginando un’accentazione diversa, espàtia ci sembra possa costituire la costruzione di uno spazio geografico e mentale altro, certamente in stretta connessione e in rete con gli spazi e luoghi dell’incontro relazionale.

In questo scritto infatti, Fasolo considera i fenomeni ESP, in particolare la telepatia, come una forma particolare di empatia che permettono di includere “le Esp nella prospettiva di una clinica costruttiva e trasformativa”, anche se insieme ne vede aspetti potenzialmente persecutori che devono essere compresi ed elaborati all’interno nella relazione terapeutica. La riflessione epistemologica lo porta poi a fare riferimenti “al campo bi- e multipersonale, allo spazio intersoggettivo, al terzo analitico, all’intersoggettività analitica, allo stesso fondamentale transfert/controtransfert, alla com-unione analista-paziente, lo spazio noi-centrico persuasivamente definito dai teorici del senso clinico della neurofisiologia dei neuroni specchio”.

Tema quest’ultimo già accennato anche nel lavoro di Ferruzza, Lai e Salis e che verrà ripreso poi anche nel sintetico e giocoso scritto di Ambrosiano che si riferisce essenzialmente al contesto teorico-critico della gruppoanalisi, ma che a questo proposito ci ricorda: “Il nodo fondamentale riguarda la distinzione tra la trasmissione di contenuti affettivi ed emotivi che viene spiegata dal sistema mirror, e che naturalmente viene associata all’identificazione proiettiva e all’empatia, e la trasmissione di contenuti ideativi e cognitivi, che caratterizza il fenomeno esp”. Ambrosiano entra poi nello specifico rispetto a una riflessione sui concetti di base gruppoanalitici in relazione ai fenomeni Esp. Evidenzia in particolar modo il “basilare concetto di rete” foulkesiano e sottolinea la specifica funzione del conduttore del gruppo “connettore tra nodi non ancora direttamente collegati”, per poi regalarci in un particolare divertissement alcune allitterazioni gruppoanalitiche dove è sempre in primo piano la posizione del conduttore esplicitamente esperente.

Paola Bennati, in un’attenta lettura del percorso di ricerca di Freud sul rapporto tra psicoanalisi e telepatia, ne sottolinea la spinta speculativa e di apertura, ma anche il continuo oscillare verso posizioni di chiusura e negazione del tema. Bennati fa propria la “disposizione oscillante freudiana” tra i due estremi, senza arrivare alla radicalità dell’aut aut, per riuscire a coinvolgersi nell’apertura alla complessità e all’et et. L’autrice prende in esame anche lavori di altri autori, Gaddini, Novelletto e Calvesi, sottolineando la fondamentale importanza che i fenomeni esp possono avere per il lavoro terapeutico, se integrati e utilizzati quale strumento d’indagine all’interno del processo analitico, assumendo in primo piano l’importanza della componente relazionale tra preconsci, dove a parlare è principalmente il linguaggio delle emozioni. La rivisitazione della letteratura psicoanalitica sull’argomento e la sua esperienza clinica la portano a pensare che “comprensione, ESP e consapevolezza avvengono nel momento in cui si forma quell’evento relazionale profondo dato dall’incontro dei due preconsci, quello del paziente e quello dell’analista”. Così, anche grazie a episodi della sua esperienza personale, conclude rivendicando il paradigma dell’et et, tante volte sottolineato da Lopez, che le permette di sostenere che riferirsi a una lettura analitica e telepatica degli episodi narrati non obbliga a una scelta a favore dell’una o dell’altra. Anzi possono coesistere benissimo tutte e due, e l’una non esclude l’altra, ma la integra permettendo una comprensione più articolata e profonda degli accadimenti.

Il lavoro di Marta Boaretto ci introduce in una situazione particolare: l’attivazione di arcaiche facoltà percettive come risposta a un evento traumatico, un terremoto. L’autrice ben evidenzia che se il trauma blocca il pensiero a fronte di un terrore senza nome, riattiva però come risposta all’emergenza, nello specifico del caso preso in considerazione, facoltà presenti nel nostro cervello più antico, funzionali alla salvezza delle persone care oltre che alla propria sopravvivenza.

A partire da un attento approfondimento sulla natura e i significati del trauma, Boaretto infatti prende in considerazione fenomeni di estensione e potenziamento percettivi emergenti successivamente a eventi traumatici. Il suo lavoro ci immerge all’interno delle situazioni impensabili, dove il primo drammatico effetto è il “collasso del significato”, esemplificando queste dimensioni attraverso alcuni cenni rispetto a un particolare e prezioso lavoro di conduzione di gruppi con sopravvissuti al catastrofico terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009.

Secondo l’autrice i fenomeni esp di potenziamento percettivo si collocano all’interno di un campo interpersonale connotato da vissuti fusionali ad altissima intensità affettiva, dove l’affettività è particolarmente pervasiva e preponderante rispetto alle funzioni cognitive.

Fina e Vezzoli allargano ulteriormente il campo, inserendo nella riflessione il pensiero junghiano e postjunghiano, e il concetto di evento sincronico tra analista e paziente all’interno della dialettica transfert/controtransfert.

Come negli scritti di Freud, anche in quelli di Jung rivisitati dalle autrici sono presenti oscillazioni e aspetti controversi, con il presentarsi di apparenti contraddizioni nel progressivo svilupparsi della teorizzazione.

Particolare attenzione rispetto all’argomento di questo Quaderno merita il concetto di psicoide, riproposto da Fina e Vezzoli, che “descrive la qualità della mente più vicina allo stato biologico e si riferisce alla particolare peculiarità delle percezioni fisiche e sensoriali che non hanno possibilità di rappresentazione psichica. Contengono però, in forma potenziale, risorse e possibilità sconosciute alla coscienza […] Si tratta di situazioni della mente che possono dar vita a fenomeni tra loro alquanto differenti, come la sincronicità o i fenomeni ESP”.

La sincronicità invece è per Jung un momento di complessità, dove il qui e ora del campo analitico, investito da un evento che irrompe, crea una sintesi affettivamente significativa e apre a processi di rappresentazione metaforica del tutto nuovi e del tutto intrisi di nuova complessità. Tuttavia, sincronicità e fenomeni ESP non sono per Jung identificabili l’un l’altro, in quanto l’evento che si sviluppa all’interno della “coincidenza significativa per il soggetto”, vale a dire la sincronicità, è un evento che viene esplorato e acquista significato nel contesto psicoterapeutico e nel movimento transfert-controtransfert, portando con sé un ricco contenuto simbolico potenzialmente trasformativo per la coppia analitica. È la formulazione della teoria della sincronicità semmai che permette al terapeuta di capire ed eventualmente utilizzare i fenomeni ESP nel contesto analitico.

Le autrici sottolineano anche che per Jung è solo nel rapporto che intercorre tra l’inconscio e la coscienza che è possibile dare senso a tali fenomeni, e ritengono questa una visione molto vicina alla concettualizzazione di preconscio proposta da Lopez. Molto interessante è l’esempio personale narrato, dove ben si evidenzia l’importanza dell’atteggiamento dell’analista per la comprensione di questi fenomeni.

In linea con il senso del nostro Quaderno le autrici concludono sostenendo che: “L’interesse che, in particolare nell’ultimo decennio, la psicoanalisi torna a dimostrare verso i fenomeni di comunicazione sincronica ed ESP può colmare una lacuna clinica causata dal comprensibile timore di una deriva ‘occultista’, che aveva preoccupato la comunità delle origini della psicoanalisi”.

Ma proprio a evidenziare quanto l’accettazione e la comprensione dei fenomeni ESP sia condizionata non solo dal punto di vista dell’analista ma dalla cultura in cui i soggetti, analista e paziente, sono immersi, concludiamo con piacere con l’interessante articolo di Vanna Berlincioni che ci permette un confronto con culture primitive attraverso la dimensione complessa del sogno rispetto al tema della premonizione. Berlincioni evidenzia come nelle società tradizionali il sogno assume tipicamente funzioni di guida e di presagio, influenzando il comportamento del soggetto, come si evince dagli esempi riportati, e dell’intera collettività: è dunque rivolto verso l’avvenire. Infatti nelle società tradizionali il sogno esorta all’azione e insieme stabilisce un rapporto tra il soggetto e le entità soprannaturali, spiriti e antenati, e i sogni premonitori occupano un posto privilegiato tra le varie caratterizzazioni dell’onirico, e ciò sin dall’antichità.

Nelle conclusioni l’autrice riflette sul desiderio di conoscere il futuro, desiderio e a volte “necessità” che fa parte delle più profonde aspirazioni dell’uomo. “Vogliamo conoscere il futuro anche se questo non è che un nuovo sogno in cui rilanciare la nostra presenza ottativa e la nostra bramosia: un’altra nostra realtà che si oppone alla certezza del nulla e della morte. È tra queste due certezze che il sogno può essere riproposto come dimensione conoscitiva, come rilancio di una fantasia che medica le ferite dell’uomo nella sua realtà sociale”. Prendersi cura dell’umana sofferenza a livello sociale e individuale è dunque il nostro compito che ben si articola nella dinamica gruppale, ma anche nelle gruppalità interne che si incontrano nell’analisi individuale.

Questo permette ai curatori di poter concludere sostenendo che “la valorizzazione dei fenomeni ESP e il loro uso terapeutico non possono e non devono alla fine aspettare legittimazione se non dalla clinica”.