AA. VV. Come Melograni. Dialogo interdisciplinare

Come Melograni. A cura di Loretta Zorzi Meneguzzo

AA. VV. Come Melograni. Dialogo interdisciplinare

A cura di L. Zorzi Meneguzzo, L. Consolaro, F. Gardellin, L. Panarotto
Come melograni. Dialogo interdisciplinare su dissociazione e persona.

 

«… quando la molteplicità è in te divenuta unità. Allora, più v’è in te di molteplicità, più v’è di unità, l’una trasformandosi nell’altra».
Meister Eckhart

«Nell’unità il molteplice costituisce la gioia sempre nuova; la vita dello spirito è continuo movimento dialettico per cui, dal fondo dell’anima, il molteplice riceve unità ed essere, e l’unità riceve ricchezza dal molteplice».
M. Vannini

 

 

Loretta Zorzi Meneguzzo. Come melograni dislocazione e persona [1]

 

Ancora prima dell’ebbro concepimento, è stato maledetto dalle predizioni, nella catena delle vendette destinate ad altri. Edipo porta nel corpo la memoria dell’esposizione sul Citerone: dell’abbandono mortifero. Anche per questo egli – tragico eroe della conoscenza – persegue il dominio sull’accadere: vuole sapere, interroga l’oracolo, risolve l’enigma della Sfinge, investiga le cause dei mali che affliggono Tebe.

“Per tutti un solo rimedio e una sola soluzione, secondo il modo edipico e apollineo.”
“Il dramma mette in scena direttamente il pensiero inquisitorio e il metodo euristico.” (Hilman).

 

Per quanto Edipo abbia tentato di conoscere, di impadronirsi della verità per sottrarsi al fato e ai riti espiatori, non è riuscito ad evitare la condanna che ha implacabilmente assoggettato e trascinato la vita sua e della sua stirpe.

“Ma sappia il dio che nella colpa non c’era la mia volontà. Niente ho scelto (…) Teseo, un lungo bersaglio sono stato di mali su mali”. (Sofocle, Edipo a Colono).

 

Amleto è – invece – l’emblematico (non)eroe dell’indecisione. Profondamente, egli cerca di resistere, non vuole essere determinato, mosso da ciò che non è autenticamente suo: resiste allo spettro del padre, alla madre, alla propria identificazione con l’usurpatore, agli amici. Con tragica fatica prova a distinguere e separare ciò che appartiene agli altri, nei suoi stessi affetti. La stessa messa in scena teatrale, concertata con il capocomico, è un tentativo di rattenere, di conseguire la padronanza attraverso la rappresentazione, di indugiare nel non agire. Egli prova a sostare nella narrazione verosimigliante, per non essere catturato nell’inesorabile catena delle azioni precostituite: nelle catene della molteplicità inconsapevole.

 

Il passo ricordato da C. Presotto [2] illumina l’attenzione del Principe affinché i modi sottili accennino [3], evochino e non saturino, stordendo con urla e gesti smisurati, togliendo spazio alle feconde, ricche, sfumature dell’affettività. Affinché lo spettatore, possa ascoltare la propria intensità, i propri riverberi; affinché possa essere toccato e scosso dall’oggettivazione: prenda contatto con il perturbante. Ad Amleto non basta conoscere i fatti, smascherare i colpevoli. Egli, più che cercare la serena certezza, eroicamente, prova ad affrontare e sostenere la tensione lacerante, prova a fermare la tragica giostra dell’azione/reazione.

“Noi abbiamo bisogno della storia, ma ne abbiamo bisogno altrimenti che il fannullone viziato nei giardini del sapere.” (Niezsche Sull’utilità e il danno della storia).

 

Alla nascita, la nostra molteplicità e la molteplicità del mondo, destabilizzando, cominciano a interagire e a muovere la nostra sorgiva unicità iniziante. Proprio nella molteplicità è insita l’unicità. Le infinite, incessanti, imprevedibili combinazioni e configurazioni procedono narrando inattese, sorprendenti, vite possibili. Nella continua composizione/riconfigurazione della multidimensionalità delle conversazioni tra il sé e il mondo, il soggetto è protagonista-creatore della propria unicità. Come in una composizione musicale (un Madrigale o una Forma Sonata, per esempio), che è espressione delle continue interazioni di tutti i parametri, un’unità organizzatrice gioca dentro le infinite possibilità e variazioni. Il vissuto di ogni voce, di ogni melodia, di ogni armonia porta dentro di sé la molteplicità del presente e quanto ha già risuonato nella storia, nella sorprendente unicità dell’istante in cui soggetto e oggetto della composizione e dell’ascolto dialogano, all’interno di, e grazie a immateriali e dinamici vincoli di senso, intra e intersoggettivi.

“Vita consolata incammino
verso la vita per sempre;
l’intimo fuoco ci allarga
in cerchi più lontani più chiari.
Le sparse stelle svaniscono
in un’unica coppa la vita
la sua profusione vino d’oro
noi limpide stelle nel suo tutto. (Novalis)

 

“La Persona [4] è comunità dentro di sé”, diceva Lopez, parafrasando Marx. La percezione di unità e molteplicità come dimensioni coesistenti del vissuto e dell’esperienza è condizione dell’uomo che mitologia e religione hanno cercato di raccogliere, catturare, in rappresentazioni complessive, narrando le tragiche vicissitudini dell’origine, tra caos e ordine. Sono state tessute storie e connessioni la cui forza intrinseca, narrativa e rituale, arginasse tensioni, contrapposizioni, contrasti e urti tra potenze sentite come soprafacenti e frantumanti. All’origine di tutte le culture si coglie la necessità di dare un senso universale a quanto viene avvertito come tremendo straniamento e lacerante spossessamento. Nelle differenti forme di espressione ed elaborazione (poesia, filosofia, teatro), il pensiero ha risposto alla necessità di dare significato e raccogliere in una cornice più capace e comprensiva – che superasse i tentativi della religione di imbrigliare e ripetere nei riti – le spinte violente e distruttive radicate nella fantasia di una potenza arcaica, soggette a, e determinate da, i meccanismi mimetico-vittimari. [5]

 

L’inesausta ricerca di un fondamento – il bisogno di sicurezza – ha sospinto verso il sapere come si anelasse a un senso precostituito, rispondendo alla necessità vitale di distaccarsi da, e di dominare, i meccanismi che soggiogano e alienano. La conoscenza logico-razionale e scientifica ha promesso una via di uscita all’incessante e insaziabile interrogarsi sul fondamento; ha promesso una causa.

“Esistono “uomini di scienza” che si servono della scienza, perché dà un aspetto sereno e perché la scientificità porta a concludere che l’uomo è superficiale – essi vogliono sedurre a una falsa conclusione.” (Nietzsche ABM).

 

La complessità dell’esperienza soggettiva, emotiva e conoscitiva, è stata divisa in elementi, parti che sussistono isolatamente, e considerata, a volte, come aggregato disorganico di punti materiali.  [6] De Unamuno stigmatizzava la “pedanteria specialistica” non in grado di com-prendere l’uomo: “il soggetto e il supremo oggetto al tempo stesso di ogni filosofia”.

“Cossì quivi, per certa conseguenza, vi sono apparse le sue contrarietadi e diversitadi, accomodate a contrari e diversi stomaci e gusti, a’ quali può piacere di farsi presenti al nostro tipico simposio: a fine che non sia chi si lamenta di esservi gionto in vano, et a chi non piace di questo, prenda di quell’altro. (G. Bruno) [7]

 

Vi può essere un uso delle specializzazioni di fatto, come fossero fortezze chiuse nell’autoreferenzialità, irrigidite nella funzione di rassicurare. Ne consegue la rivalità tra discipline: persiste il bisogno di accaparrarsi la supremazia nella comparazione tra le possibili interpretazioni, nell’individuazione della causa prima. Persiste il bisogno di saturare, riempire di risposte definitive lo spazio del possibile. Dall’altro lato, si avverte il rischio del puntinismo relativistico e scettico, dell’eclettismo, in cui il confronto si riduce a una somma di punti di vista, a un accostamento disorganico, e si spegne nell’indifferenza e nell’insignificanza. Le specializzazioni possono mostrare una diaspora conoscitiva, una dispersione/frammentazione, necessaria; come necessità/possibilità di tacitare il senso di fragilità e inefficacia, e di costruire un radicamento, un senso di solidità nel conosciuto circoscritto che ha saputo produrre ricche competenze e meravigliose creazioni.

 

Le analogie tra cultura/filosofia indiana e origini della filosofia occidentale, non riconducibili a prove fattuali, verificabili, di una trasmigrazione e di una derivazione diretta – orale o scritta – possono rivelare fenomeni di inculturazione plurima, plurale che si intrecciano con le vicissitudini dello sviluppo dell’individuo. In esso, filogeneticamente e ontogeneticamente, passaggi essenziali cruciali, spesso drammatici, si raggrumano in condensazioni che narrano, nei miti e nella poesia, la comune e universale cadenza della vita. Cadenza che suggerisce una circolarità tra contrazione e dilatazione. Un ritmo che sembra indicare il respiro del desiderio per ciò che non c’è: e, il desiderio esprime presenza/assenza. Nei Rgveda la ricerca rimanda all’insondabile: soglia oscillante tra essere e non essere; e, il senso si costituisce nell’interrogarsi stesso. [8]

“In principio fu il desiderio che si mosse sopra Ciò, il desiderio che fu il primo atto fecondante della mente. Il legame di Ciò-che-è con Ciò-che-non-è lo trovarono nel loro cuore i poeti, cercandolo con la meditazione.” (Rgveda).

 

I passi poetici, letterari e filosofici che hanno intercalato le comunicazioni, durante il Seminario* – e riproposti nel libro [9] – esprimono accoglimento, implicito/esplicito del continuo dialogo e della continua ri-creazione/ri-configurazione, fin dalla fondazione del mondo, del lascito dei precursori. Le citazioni ‘extradisciplinari’ che gli autori propongono testimoniano l’interazione che si fonda sul riconoscimento dell’essenziale valore di un’immagine, di un’intuizione, di una concezione elargita da un pensatore. Riconoscimento di voci consonanti/dissonanti, di parole che riverberano riflessioni e indicano il fluire di una molteplicità dialogante nella quale l’insaturazione diviene grembo di connessioni ed elaborazioni personali. Lo stesso incontro nel Seminario, in quanto intero strutturato, performativamente e progressivamente, si è costituito come dialogo, non tra maschere/ruoli – personaggi irrigiditi nell’arroccamento delle rispettive specializzazioni -, ma tra maschere/persona [10] , capaci di sostare, ascoltare, riverberare, e interrogarsi.

 

Come il vissuto della molteplicità personale si trasforma in possibilità di relazione interna al me multirelazionale, in quanto occasione di desiderio riflessivo/creativo, così, dopo la necessaria – e feconda – dispersione nelle specializzazioni, si fa sentire l’anelito [11] a dare un senso alle intersezioni tra approcci e sistemi di pensiero confinanti che si occupano dello stesso oggetto: l’uomo. La qualità distintiva dell’interazione possibile è l’appassionata predilezione per la disciplina scelta, che si vuole approfondire, come linguaggio e vertice di osservazione privilegiati. La scelta, indica libertà/capacità di sostare nell’insaturazione, di accorgersi, di essere curiosi: la capacità di essere in relazione, in quanto dimensione nella quale germina il seme del desiderio, nella quale si ascolta, si formulano domande, si riconfigura e trasforma. Nell’atemporalità delle interazioni feconde, poeti, filosofi, pensatori e artisti, dal passato, si fanno incontro con passo silenzioso a chi li sollecita [12]; le loro opere accompagnano le riflessioni, sospingendo un po’ più oltre e sostenendo la ricerca di senso, lungo il cammino che prova ad approssimarsi e cogliere qualcosa in più dell’infinita complessità delle vicissitudini dell’uomo.

“Solo all’umanità redenta tocca interamente il suo passato” (Benjamin).

 

Il pensiero appassionato, filosofico o psicoanalitico che sia, può esprimere, suscitare e accompagnare, il desiderio come voce di polarità che anelano a ricomporre il dialogo creativo tra unità e molteplicità, dentro la persona e nella sua esperienza del mondo; perché con la “dote di una debole forza” (Benjamin) ciascuno, che consapevolmente e responsabilmente lo desideri, possa riscoprire dentro di sé il poeta, fanciullo fortunato (Arendt).

“Tanti viventi non ti sono noti?
Il tuo piede non va sopra i tappeti
del vero?
Dunque, mio genio, non aver paura
ed entra a piedi nudi nella vita!
Qualunque cosa accada, sia per te
un’occasione.” (Holderlin).
“… e le Acque, che desideravano andare, presero a scorrere” (Rgveda).

 

Ringrazio Eugenio Borgna.

 

Loretta Zorzi Meneguzzo

 

Note

[1] Nel presente volume vengono ampliate e approfondite le riflessioni proposte durante il Seminario Dissociazione e Persona (Vicenza 23.11.13), relatori: L. Consolaro, A. Del Medico, C. Zucca, L. Zorzi Meneguzzo, M. Carollo, C. Presotto, P. Vidali, C. Cremonese.; sono stati aggiunti i contributi di V. Berlincioni, L. Panarotto ed E. Stenico, come apertura alla continuità dialettica implicita nella visione della dissociazione in quanto dimensione naturale della vita.

[2] Durante i seminario Dissociazione e Persona e nel suo capitolo nelle pagine che seguono.

[3] Come Il dio che non dice né cela, ma accenna. (Eraclito).

[4] Le riflessioni di Davide Lopez sono costantemente accompagnate da, e rivolte alla concezione della Persona quale nucleo di significazione; sintesi creativa, possibilità di ricomposizione di antinomie e propulsione di maturazione, in quanto modello che attrae a sé lo sviluppo (Lopez).

[5] Mi riferisco anche alle elaborazioni lopeziane del pensiero di René Girard, raccolte nel saggio Il desiderio, il sacrificio, il capro espiatorio 2008 A. Colla.

[6] Posizioni enunciate in modo critico da Cassirer

[7] In Preta L. (2004) “Contaminazioni feconde”, Psiche

[8] Le riflessioni di questo breve paragrafo mi sono state suggerite dalla conversazione tra G. Caramore, G. Boccali e C. Sini, in Uomini e profeti del 09.02.14.

[9] Vedi nota 1

[1o] Maschera, per-sonat, parola che racchiude feconde molteplicità e ambiguità semantiche.

[11] Anelito evidente nelle molte iniziative culturali nelle quali si propone l’interdisciplinarietà.

[12] Giovanni Pozzi Tacet.

 

 


 

Loretta Zorzi Meneguzzo, psicologa e psicoterapeuta, è condirettore della rivista Gli Argonauti – psicoanalisi e società.
E’ autrice di molti contributi clinico-teorici su temi psicoanalitici, pubblicati su riviste specializzate.

E’ autrice, insieme a Davide Lopez, di:

“Dal carattere alla persona”, in Trattato di psicoanalisi, a cura di A.A. Semi (1989);

Dalla depressione al sorgere della persona (1990);

La sapienza del sogno (1999);

Terapia psicoanalitica delle malattie depressive (2003);

Narcisismo e amore (2005);

ha curato la seconda edizione di La sapienza del sogno (2012).


Luisa Consolaro, psichiatra, ha lavorato nei Dipartimenti di Salute Mentale di Vicenza e Provincia. Ha una formazione relazionale sistemica e psicodinamica. Lavora come
psicoterapeuta. E’ didatta dell’Istituto Veneto di Terapia Familiare (ITFV).  E’ redattrice della Rivista Storie e Geografie Familiari.

 


 

Francesco Gardellin, psichiatra di formazione psicodinamica, lavora nei Dipartimenti di Salute Mentale. Svolge attività di ricerca in ambito epidemiologico, di salute pubblica, sul trattamento dei disturbi di personalità e delle psicosi maggiori, su temi di farmacologia clinica. Come psicoterapeuta lavora a Vicenza.

 


 

Luisa Panarotto, psichiatra e psicoterapeuta di formazione psicodinamica, dopo aver lavorato in Dipartimenti di Salute Mentale, da anni svolge attività psicoterapica e di
supervisione clinica, individuale e di équipe a Vicenza.